Caldo? Dal Giappone arrivano i vestiti ad aria condizionata

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Sono nati come vestiti da lavoro, ma non è detto che un giorno si trasformino in una vera e propria moda. Anche in Italia, specialmente se si ripeteranno estati torride come questa.
Sono i capi della Kuchofuk, che in giapponese significa “Abbigliamento climatizzato”. Ed è proprio così: i vestiti prodotti ad Osaka sono dotati di aria condizionata.
L’idea venne anni al signor Ichigaya, ex ingegnere della Sony: invece di spendere enormi somme per climatizzare i luoghi di lavoro e le case, perché non inventare qualcosa che fosse molto più economico ed ecologico? Per esempio, un abito refrigerante?
Dopo anni di tentativi infruttuosi, dal 2011 in poi la Kuchofuk ha iniziato a fare sul serio, piazzando i suoi prodotti prima in estremo Oriente, poi in America e ora in Europa.
Il principio è semplice: una normale camicia può essere dotata di due ventilatori elettrici che aspirano aria a velocità regolabile. L’aria che circola all’interno del vestito, oltre alla piacevole sensazione, accelera l’asciugatura del sudore, abbassando così la temperatura corporea. Secondo l’inventore, l’effetto è di trovarsi come in un ambiente che avesse fino a quasi 7° in meno rispetto all’atmosfera circostante e con il 35% di umidità in meno.
Le ventole si alimentano con una batteria ricaricabile al litio, con autonomia di 11 ore. La quale consuma una quantità di energia infinitesimale rispetto a un tradizionale impianto di aria condizionata. La ricarica avviene con un normale cavo usb.
I vestiti climatizzati costano dagli 11mila yen in su (circa 130 euro). Oltre agli abiti, Kuchofuk produce anche caschi da lavoro e materassi, sempre climatizzati. Nel 2104 ha venduto 250 mila articoli.
Inconvenienti? Gli abiti per ora sono solo in tessuti sintetici. Inoltre l’estetica non è proprio raffinatissima e non solo perché stata pensata innanzi tutto per i lavori più pesanti: con la circolazione dell’aria in funzione, gli abiti si gonfiano come giubbotti di salvataggio. Ma anche questo look non è detto che non diventi un giorno di moda. Come del resto avvenne per i “bombatissimi” piumini degli anni ’80.

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